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Associazione Culturale "Il vizio del Pensiero"

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( Chiedo scusa se parlo di Utopia… )

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Pier Paolo Pasolini

11 Marzo 2008 by Gian Luigi Ago Leave a Comment

pasolini


La morte non è nel

non poter comunicare

ma nel non poter

più essere compresi


Adulto?
Mai – mai, come l’esistenza che non matura – resta sempre acerba di splendido

giorno in splendido giorno – io non posso che restare

fedele alla stupenda monotonia del mistero.

Ecco perché, nella felicità, non mi sono mai abbandonato – ecco perché nell’ansia delle mie colpe non ho mai provato un rimorso vero. Pari, sempre pari con l’inespresso, all’origine di quello che io sono.



A me


In questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza,

il più colpevole son io, inaridito dall’amarezza.


Supplica a mia madre


È difficile dire con parole di figlio

ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,

ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:

è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata

alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo.

Ho un’infinita fame

d’amore, dell’amore di corpi senza anima.

Perché l’anima è in te, ma tu

sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo senso

alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l’unico modo per sentire la vita,

l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione

di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.

Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile


Comunicato all’Ansa (Un cane)


Ahi, cane, fermo sul ciglio della via Predestina

che si guarda di qua e di là prima di attraversare la strada.

Non ha nulla da ridire: accetta tutto.

Non ha dignità da difendere, a causa della sua bontà.

Ecco quindi la mia conclusione;

la rassegnazione non ha niente da invidiare all’eroismo.

Bisogna condannare

severamente chi

creda nei buoni sentimenti

e nell’innocenza.

Bisogna condannare

altrettanto severamente chi

ami il sottoproletariato

privo di coscienza di classe.

Bisogna condannare

con la massima severità

chi ascolti in sé e esprima

i sentimenti oscuri e scandalosi.

Queste parole di condanna

hanno cominciato a risuonare

nel cuore degli Anni Cinquanta

e hanno continuato fino a oggi.

Frattanto l’innocenza,

che effettivamente c’era,

ha cominciato a perdersi

in corruzioni, abiure e nevrosi.

Frattanto il sottoproletariato,

che effettivamente esisteva,

ha finito col diventare

una riserva della piccola borghesia.

Frattanto i sentimenti

ch’erano per loro natura oscuri

sono stati investiti

nel rimpianto delle occasioni perdute.

Naturalmente, chi condannava

non si è accorto di tutto ciò:

egli continua a ridere dell’innocenza,

a disinteressarsi del sottoproletariato

e a dichiarare i sentimenti reazionari.

Continua a andare da casa

all’ufficio, dall’ufficio a casa,

oppure a insegnare letteratura:

è felice del progressismo

che gli fa sembrare sacrosanto

il dover insegnare al domestici

l’alfabeto delle scuole borghesi.

È felice del laicismo

per cui è più che naturale

che i poveri abbiano casa

macchina e tutto il resto.

È felice della razionalità

che gli fa praticare un antifascismo

gratificante ed eletto,

e soprattutto molto popolare.

Che tutto questo sia banale

non gli passa neanche per la testa:

infatti, che sia così o che non sia così,

a lui non viene in tasca niente.

Parla, qui, un misero e impotente Socrate

che sa pensare e non filosofare,

il quale ha tuttavia l’orgoglio

non solo d’essere intenditore

(il più esposto e negletto)

dei cambiamenti storici, ma anche

di esserne direttamente

e disperatamente interessato.



“lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca.”

“Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è
scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato.
Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo.”


Filed Under: Pier Paolo Pasolini

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